venerdì 24 aprile 2020

25 aprile


25 aprile, festa dell'ipocrisia. Qualcuno pensa sia la festa dell'ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. Di veri partigiani ce ne sono pochi o punto, per semplici ragioni anagrafiche. Se nel 1945 avevano 12 anni (difficilmente potevano essere più giovani) oggi sono persone di 87 anni. Gli altri sono più vecchi e non credo siano molti in grado di muoversi al canto di bella ciao. E poi non sono i partigiani, ma solo quelli rossi. Quelli che sognavano Tito o Stalin, quelli che hanno liberato l'Italia da soli senza inglesi o americani, a sentir loro.
Tutti gli altri associati sono degli ipocriti millantatori che della famosa resistenza hanno solo sentito parlare. E cantano Bella Ciao, la canzone di quello che alla mattina si è svegliato e, addolorato, ha trovato l'invasor. Sono gli stessi che, con tipica coerenza, ora sono felici di trovare l'Italia invasa da stranieri: è solo questione di tempi e di colore della pelle, ossia di razzismo. E pensare che io Bella Ciao l'ho imparata a metà anni '50 da amici tedeschi.
Questi partigiani non avranno tutto il millantato merito d'avere liberato l'Italia dai tedeschi, ma molti si sono liberati degli avversari politici. A Valdagno ho conosciuto un tale che oltre ad essere noto come partigiano rosso era noto anche come feroce assassino ed ho conosciuto un tale da Reggio Emilia che diceva la stessa cosa di suoi compaesani.
Per me il 25 aprile rimane l'onomastico di Marco mio figlio e la festa di San Marco, patrono della Serenissima Repubblica di Venezia e dei Veneti. Anche perché il 25 aprile 1945 ero ancora sfollato in campagna in attesa che arrivassero "gli americani", non i compagni filorussi o filoyugoslavi e non avevo ancora sentito i nove colpi di cannone che mi hanno sì spaventato ma anche annunciato la liberazione.





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