giovedì 14 aprile 2011

Processo breve

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C'era una volta una paese considerato culla del Diritto (inteso non come l'insieme delle norme di Giustizia ma come l'insieme di chi di Giustizia vive) dove prosperavano pubblici ministeri, giudici ed avvocati. Tutto andava per il meglio, i processi duravano anni ed anni. Si racconta che i figli dei giudici subentravano ai padri nello stesso processo di cui si erano occupati i nonni; la stessa cosa succedeva per gli avvocati. Ovviamente molti processi - nonostante l'obbligatorietà dell'azione penale prevista in quel paese - o non iniziavano nemmeno o appena iniziati venivano accantonati essendo tutti occupati nei processi iniziati dai padri o dai nonni. Quando casualmente uno di quei processi arrivava a sentenza definitiva passata in giudicato, dovendo i magistrati scegliere un nuovo processo da tramandare ai figli, sceglievano quelli riguardanti persone in vista per diventare famosi o, per non crearsi troppi problemi, quelli relativi a fatti avvenuti nel lontano passato, ascoltando come testimoni figli e nipoti che raccontavano quello che dicevano avere sentito con le proprie orecchie raccontare da padri e nonni. In quel paese qualcuno pensò che forse i processi duravano troppo, che troppi erano quelli che non si facevano, troppi in attesa di giudizio in carcere (spesso innocenti) o liberi (spesso colpevoli)  e propose di fare una legge in base alla quale i giudici non potevano lasciare i processi in eredità ai loro figli, anzi non potevano andare in pensione senza avere prima terminato il procedimento in corso. Giudici, magistrati, avvocati, comuni cittadini insorsero denunciando l'infamia di un processo così breve: vi furono tremende discussioni sulla materia e ancora ci sono. 

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